Quella grande associazione a delinquere che trafficava droga lungo tutto il litorale dello Ionio, almeno dal 1986 al 2000, non è mai esistita: cancellata con un colpo di penna. Lo ha stabilito ieri mattina il gup di Potenza Rosa Larocca, al termine dell’udienza per i 65 imputati del maxi-processo “terra bruciata”, stralcio dell’indagine Siris contro i clan del metapontino. Sono stati tutti prosciolti perché «il fatto non sussiste», benché l’accusa avesse chiesto il rinvio a giudizio per ognuna delle contestazioni. Spetterà adesso alla Direzione distrettuale antimafia di Potenza valutare se proporre appello, oppure cestinare una volta per tutto l’inchiesta. Intanto gli avvocati hanno tutto per cui cantare vittoria. In aula ne erano presenti poco meno di una decina (Maria Delfino, Rocco Mauro, Livia Lauria, Giuseppe Rago, Maria Rosaria Malvinni, Pietro Damiano Mazzoccoli e Domenico Melidoro). All’uscita hanno espresso unanime soddisfazione per quello che potrebbe definirsi un “flop” inaspettato, sebbene già nel corso delle discussioni fossero emersi diversi punti di debolezza delle accuse. C’è chi ha persino sollevato la
questione di un processo che avrebbe ricalcato da vicino un altro già concluso (Siris, la condanna in primo grado è del 2000, ndr) per cui peraltro molti degli imputati stanno ancora scontando le pene inflitte, senza aggiungere niente di più. Una ripetizione senza senso. Irrilevanti, dunque, le confessioni dei vari collaboratori di giustizia che avevano parlato di quei traffici criminali. Lo ha stabilito il gup. Mentre gli inquirenti, dal canto loro, supponevano l’esistenza di un’organizzazione fatta di capi, associati, corrieri e spacciatori al minuto. Ai vertici del sodalizio, secondo i sostituti procuratori
che si sono occupati dell’inchiesta nella fase iniziale,Vincenzo Montemurro e Felicia Genovese (oggi entrambi in servizio in altre sedi) ci sarebbero stati: Giuseppe, Antonio, Salvatore e Daniele Scarcia, figli dello storico “zi’ Emanuele” arrivato a Policoro da Taranto negli anni sessanta, «promotori, dirigenti ed organizzatori dell’associazione, con ampi poteri di definizione delle linee strategiche di comando sull’attuazione di tali linee per il rifornimento di sostanze stupefacenti e per la consegna ai referenti di zona delle sostanze medesime che successivamente venivano spacciate sul mercato». Appulo-calabresi, invece, i fornitori: Riccardo Sgaramella di Andria e Salvatore Pesce, di Rosarno, dell’omonino clan. Almeno per l’accusa. Perchè secondo il Tribunale sono tutti innocenti.
Fonte Il Quotidiano della Basilicata
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