Nei giorni scorsi
l’Amministrazione comunale ha nominato Nicola Buccolo e Carmelo Rogolino
componenti della neonata Consulta della Cultura che dovrebbe essere un organo
consultivo della stessa Amministrazione per ciò che concerne gli eventi
culturali. Il prestigio delle persone non si discute. Tuttavia in passato non
sono mancati esperimenti simili, anche con le stesse persone, naufragati
purtroppo con disastri culturali annessi e connessi della politica e non del
tamdem Buccolo-Rogolino beninteso. I due esponenti erano componenti ad esempio
di una commissione che nella legislatura 2001/2006 erano stati nominati
dall’allora Amministrazione per rivedere la toponomastica della città, e nello
stesso tempo darle una identità poiché l’espansione di Policoro verso mare,
Panevino e dintorni lasciava scoperte numerose vie e quartieri. Dopo qualche
incontro la commissione si sciolse come neve al sole. Troppe incomprensioni tra
i vari componenti, troppe rivalità, troppa ingerenza della politica. Così
l’eredità che oggi ci lascia è lo scempio toponomastico: ad esempio in pochi
sanno che il cosiddetto II piano di zona di zona si chiama Quartiere Italia,
che il III piano di zona si chiama Quartiere Europa e così via altre aree della
città hanno cambiato generalità. Nomi che in pochi conoscono proprio perché
anziché lavorare per il territorio, per la sua conoscenza e la sua storia lo si
è violentato a proprio uso e consumo privilegiando i personalismi e le vendette
puerili. Ad esempio il Quartiere Italia si chiama così perché ci sono vie di
città della Penisola però poi all’interno del rione si è dapprima inaugurata
piazza Banesti, in onore del gemellaggio tra Policoro e la Romania nel ricordo
dell’archeologo Dinu Adamesteanu, che con quel quartiere ha poco a che
spartire, e poi cancellata quest’ultima si è pensato di intitolarla, sbagliando
la seconda volta, al primo sindaco della città jonica, Nicola Montesano, che
con le vie del quartiere non ha attinenza e oltretutto nel suo ricordo gli è
stata intitolata già la sala del Consiglio comunale agli inizi del 2000. Poi
parallelamente al Quartiere Italia c’è via Rotondella, scendendo da via
Agrigento c’è una perpendicolare intitolata al principe Antonio De Curtis al secolo
Totò. Se poi andiamo nei quartieri nuovi, alcuni dei quali ancora privi di
toponomastica, troviamo via San Charbel, una sorta di Padre Pio libanese, via
Angeli della Strada, via Martiri di Nassiriya, via Serio, anch’egli ex
amministratore e l’elenco potrebbe continuare. Nell’intitolazione delle strade
non si è adottato un criterio logico e di identità di un rione, ma si è cercato
di accontentare chiunque ne facesse richiesta per far vivere il ricordo di
qualcuno. Se invece si fosse connotato un quartiere, anche con i nomi di cui
sopra ma in maniera organica e non alla spicciolata dandogli così una identità
e facendola conoscere alla cittadinanza con manifestazioni o con un concorso
scolastico, forse oggi anche i portalettere non avrebbero problemi nel recapitale
la posta. Policoro, per rimanere in tema, è uno dei pochi Comuni che non ha
intitolato nulla ai magistrati Falcone-Borsellino, tanto per fare un esempio, o
vittime della mafia tranne Peppino Puglisi, anch’egli isolato, in vita e da
morto, nelle vie del quartiere vicino l’ospedale civile. Eclissatosi il primo
esperimento, prima dei festeggiamenti dei 50 anni di autonomia amministrativa
(1959-2009) venne nominata dal precedente Esecutivo una commissione ad hoc
all’interno della quale facevano parte anche l’ex direttore del museo Bianco,
ex amministratori, lo stesso Nicola Buccolo. Anche lì dopo un paio di incontri
tutto cadde ne dimenticatoio: non c’era una unità di intenti e forse non si era
capito lo spirito del comitato che era quello di far grande e bella Policoro
non solo nelle case e nelle ville, ma nella mentalità e Cultura del cittadino
medio. Quella che oggi manca per poter definire Policoro Città, rigorosamente
con la C maiuscola. Così un appuntamento storico per la città come il suo mezzo
secolo di vita politica passò inosservato senza un evento traino da consolidare
nel tempo e caratterizzare così Policoro proiettandola nel futuro. Oggi si
sperimenta il terzo tentativo. Speriamo che il passato abbia insegnato qualcosa
e che non valga l’adagio: non c’è due senza tre. Incrociamo le dita.
P.S. Speriamo che la Consulta
proponga all’Amministrazione di cambiare il nome al canile comunale, anche area
Zac, come tante altre scelte politiche, nulla ha a che vedere con la storia di
Policoro la cui crescita culturale non è pari a quella anagrafica
amministrativa: 54 anni. Se poi andiamo a ritroso nel tempo delle colonie
greche, nostro malgrado gli arretrati continuiamo ad essere sempre noi.
Gabriele Elia
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