domenica 6 maggio 2012


Fidanzatini di Policoro. Elementi estranei sugli abiti di Luca


ROMA – «Il caso di Luca Orioli e Marirosa Andreotta - i cosiddetti fidanzatini di Policoro, ritrovati senza vita nel bagno dell’abitazione della ragazza la notte del 23 marzo 1988 - farà giurisprudenza». Ne è convinto e lo sottolinea l’avvocato Francesco Auletta, legale della famiglia Orioli, all’uscita dalla sede romana del Ris, il Reparto Investigazioni Scientifiche. E’ qui che, ieri mattina, i carabinieri hanno iniziato gli esami sui vestiti che il giovane Luca indossava quella notte di ventiquattro anni fa. Esami che erano stati disposti lo scorso 17 aprile dalla Procura della Repubblica di Matera, accogliendo un’istanza dello stesso Auletta, e in cui sia il legale sia la mamma di Luca, Olimpia Fuina, riponevano e ripongono grandi speranze. Aspettative che, per il momento, non sembrano esser state tradite. Una breccia nel muro di silenzi e misteri che avvolgono questo caso sembra, infatti, potersi aprire proprio a partire dai laboratori capitolini di viale di Tor di Quinto. dire qualcosa di concreto sulla morte dei due ragazzi dovrebbe essere il contenuto di quello scatolone (presumibilmente jeans, maglione, indumenti intimi e lenzuola) aperto ieri mattina nell’ambiente protetto e qualificato del Ris dopo che un anno fa era stato ritrovato nel deposito reperti dell'università La Sapienza di Roma. «Non c’è dubbio che quegli indumenti appartengano a Luca», evidenzia innanzitutto l’avvocato Auletta, presente all’esame insieme ai periti di parte, alla genetista Marina Baldi e alla criminologa Imma Giuliani, e sottolinea poi come ci siano «tracce evidenti ed importanti, visibili ad occhio nudo, che possono essere analizzate e – come ancora – siano emersi elementi, estranei agli indumenti, interessanti per l’accertamento del dna di terze persone». Risultati che «nessuno si aspettava» dice l’avvocato Auletta dichiarandosi fiducioso e sottolineando la sua gratitudine ai carabinieri del Ris «per il loro lavoro serio e scrupoloso». Di che tipo di tracce si tratti e se siano elementi utili a fornire nuovi indizi per la ricerca della verità o ad avvalorare l’ipotesi dell’omicidio saranno i risultati delle analisi a delinearlo, la cosa certa è che sia l’avvocato Auletta sia Olimpia Fuina sono usciti dai laboratori del Ris visibilmente ottimisti. Tre ore in tutto, dalle 10 alle 13 circa, è durata la loro permanenza in viale Tor di Quinto, tre ore durante le quali la signora Fuina, che per prassi non ha potuto assistere all’apertura dello scatolone, racconta emozionata di aver rivissuto i lunghi ventiquattro anni del suo calvario. «Sono rimasta da sola in una stanza, ad aspettare, e ho rivissuto dentro di me tutti i momenti più importanti di questa storia. Era come se Luca e i suoi ultimi frammenti di vita fossero lì con me». «Ora – dice asciugandosi le lacrime – voglio la verità. Oggi mi sento serena, ho visto persone incredibili e che operano in modo meticoloso». E a chi fa accenno alla voglia di giustizia risponde: «La giustizia è un diritto non solo mio ma di tutta una comunità che aspetta e vuole sapere cosa sia realmente successo».

Fonte Il Quotidiano della Basilicata

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