Fidanzatini di Policoro. Elementi
estranei sugli abiti di Luca
ROMA –
«Il caso di Luca Orioli e Marirosa Andreotta - i cosiddetti fidanzatini di
Policoro, ritrovati senza vita nel bagno dell’abitazione della ragazza la notte
del 23 marzo 1988 - farà giurisprudenza». Ne è convinto e lo sottolinea
l’avvocato Francesco Auletta, legale della famiglia Orioli, all’uscita dalla
sede romana del Ris, il Reparto Investigazioni Scientifiche. E’ qui che, ieri
mattina, i carabinieri hanno iniziato gli esami sui vestiti che il giovane Luca
indossava quella notte di ventiquattro anni fa. Esami che erano stati disposti
lo scorso 17 aprile dalla Procura della Repubblica di Matera, accogliendo
un’istanza dello stesso Auletta, e in cui sia il legale sia la mamma di Luca, Olimpia
Fuina, riponevano e ripongono grandi speranze. Aspettative che, per il momento,
non sembrano esser state tradite. Una breccia nel muro di silenzi e misteri che
avvolgono questo caso sembra, infatti, potersi aprire proprio a partire dai
laboratori capitolini di viale di Tor di Quinto. dire qualcosa di concreto
sulla morte dei due ragazzi dovrebbe essere il contenuto di quello scatolone
(presumibilmente jeans, maglione, indumenti intimi e lenzuola) aperto ieri
mattina nell’ambiente protetto e qualificato del Ris dopo che un anno fa era
stato ritrovato nel deposito reperti dell'università La Sapienza di Roma. «Non
c’è dubbio che quegli indumenti appartengano a Luca», evidenzia innanzitutto
l’avvocato Auletta, presente all’esame insieme ai periti di parte, alla
genetista Marina Baldi e alla criminologa Imma Giuliani, e sottolinea poi come
ci siano «tracce evidenti ed importanti, visibili ad occhio nudo, che possono
essere analizzate e – come ancora – siano emersi elementi, estranei agli
indumenti, interessanti per l’accertamento del dna di terze persone». Risultati
che «nessuno si aspettava» dice l’avvocato Auletta dichiarandosi fiducioso e
sottolineando la sua gratitudine ai carabinieri del Ris «per il loro lavoro
serio e scrupoloso». Di che tipo di tracce si tratti e se siano elementi utili
a fornire nuovi indizi per la ricerca della verità o ad avvalorare l’ipotesi
dell’omicidio saranno i risultati delle analisi a delinearlo, la cosa certa è
che sia l’avvocato Auletta sia Olimpia Fuina sono usciti dai laboratori del Ris
visibilmente ottimisti. Tre ore in tutto, dalle 10 alle 13 circa, è durata la
loro permanenza in viale Tor di Quinto, tre ore durante le quali la signora
Fuina, che per prassi non ha potuto assistere all’apertura dello scatolone,
racconta emozionata di aver rivissuto i lunghi ventiquattro anni del suo
calvario. «Sono rimasta da sola in una stanza, ad aspettare, e ho rivissuto
dentro di me tutti i momenti più importanti di questa storia. Era come se Luca
e i suoi ultimi frammenti di vita fossero lì con me». «Ora – dice asciugandosi
le lacrime – voglio la verità. Oggi mi sento serena, ho visto persone
incredibili e che operano in modo meticoloso». E a chi fa accenno alla voglia
di giustizia risponde: «La giustizia è un diritto non solo mio ma di tutta una
comunità che aspetta e vuole sapere cosa sia realmente successo».
Fonte Il
Quotidiano della Basilicata
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