POLICORO - «Prosciolti perchè il fatto non sussiste». Era nell’aria e il giudice dell’udienza preliminare non ha deluso le aspettative dei legali. Si è chiusa in questo modo ieri mattina, dopo una breve camera di consiglio durata appena due ore, l’udienza preliminare del processo “heraclea connection” su una presunta associazione a delinquere specializzata nel traffico di droga, che sarebbe stata operante nel meta pontino a partire dal 2005. Il 1 marzo del 2007 erano finiti in manette in undici con l’accusa di far parte di un clan mafioso, che avrebbe ereditato il dominio degli Scarcia controllando oltre allo spaccio, un giro di estorsioni a imprenditori e commercianti della zona. Al vertice la triade composta dai germani Antonio e Vincenzo Mitidieri (arrestato agli inizi di gennaio con l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso) e da Giuseppe Lopatriello. Il riesame di lì a poco avrebbe scarcerato tutti segnalando non poche lacune nell’impianto dell’accusa. La decisione sarebbe stata confermata anche in Cassazione, ma la mazzata sul lavoro svolto dagli investigatori è arrivata solo nella scorsa udienza quando il gup ha dichiarato illegittime, quindi nulle, tutte le intercettazioni effettuate, che costituivano la gran parte degli elementi portati dall’accusa, oltre ai precedenti delle persone coinvolte. In nessuna si parlava espressamente di cessioni di stupefacente, ma gli investigatori erano convinti di essere riusciti a decriptare il linguaggio in codice che veniva utilizzato. Stando sempre alle ipotesi formulate in fase d’indagine la droga si sarebbe insinuata anche dentro la migliore società della fascia jonica, tanto che due famosi locali notturni di Policoro sarebbero stati usati come centro di smistamento e adescamento per giovani ragazze. Venivano avvicinate al consumo della “bianca” per farle esibire in prestazioni sessuali spinte per i notabili del posto. Quando i boss avrebbero sentito di avere il fiato sul collo sarebbe poi nata l’idea di uccidere l’ufficiale dei carabinieri che si occupava del caso, il capitano Pasquale Zacheo, ma di questo nel capo d’imputazione non c’è traccia. All’uscita dell’udienza i difensori degli imputati non hanno nascosto la loro soddisfazione. «Questa sentenza non è altro che la conferma di quello che abbiamo sempre sostenuto».Ha detto l’avvocato Livia Lauria. «È ovvio che se in precedenza ci fosse stato un vaglio sereno come quello di questo giudice non saremmo arrivati a questo punto. Peraltro anche il contenuto delle intercettazioni in questione non era per niente chiaro, ma nemmeno criptico come si è sentito. Le richieste registrate si potevano giustificare in ragione del mestiere svolto dalle persone ascoltate. Un pasticcere parla di «pasticcini» e un idraulico di «condizionatori». Tutto perfettamente normale. Di più non c’è un grammo di droga sequestrato». Diversa la posizione di Vincenzo Mitidieri che è stato comunque rinviato a giudizio per un episodio di estorsione collegato al filone principale dell’inchiesta. «Non c’è assolutamente niente» per l’avvocato Maria Delfino. «Lo scrupolo del giudice è stato tale da ritenere che debba andare al vaglio del Tribunale, ma non c’è nessuna denuncia e l’accusa parla di richiesta estorsiva. È tutto da vedere. Per il resto sono contenta della decisione». Cosimo Damiano Mazzoccoli va giù duro più di tutti: «Nel caso del mio assistito è stata fatta una richiesta di rinvio a giudizio sulla base di una singola intercettazione telefonica. A parte la nullità dichiarata dal giudice era stata superata anche nel merito. Non c’era nessun elemento concreto che lo potesse collegare a qualunque ipotesi di tipo associativo. Qui si è riscontrata solo una cosa: l’assenza totale di fatti.
FONTE
Il Quotidiano della Basilicata
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