POLICORO – Un clochard che dorme avvolto in una coperta all’addiaccio è
una scena che si presenta, purtroppo, spesso girando per le città di grandi
dimensioni. Ma il fenomeno potrebbe colpire anche i piccoli centri come
Policoro, e il segnale sarebbe ancora più preoccupante laddove c’è un rapporto familiare
e una coesione sociale diversa e più “amica” rispetto alle metropoli o grossi
centri. Così lunedì 21 in piazza Eraclea una persona avvolta in una coperta
sotto il porticato a pochi passi dall’ingresso nella biblioteca “Massimo
Rinaldi” stava dormendo. Tutto il corpo era avvolto e pertanto non si sa il
sesso, visto che da sotto la coperta uscivano a malapena le scarpe, anche se
sembrava un uomo vista la dimensione della gomma delle grandi scarpe. Al suo
fianco un ombrello e una bottiglia di acqua “Sveva” probabilmente per
dissetarsi e ripararsi in caso di pioggia per riprendere poi il cammino per
chissà dove. Da qui l’ipotesi che si trattasse di un cittadino senza fissa
dimora, non locale, che forse vagheggiava per i Comuni della costa e
dell’entroterra e di “sosta” a Policoro. In caso contrario ci sarebbe da
preoccuparsi per la scarsa tenuta del tessuto sociale anche di Comuni piccoli.
Fatto sta che la scena è di quelle raccapriccianti. Una piazza deserta con le
arcate che sembrano quelle di Beirut degli anni ’80 sfregiate dalla guerra, a
due passi la chiesa Madre e attività commerciali con la saracinesca abbassata,
case civili con le persiane pericolanti come nei film western di Sergio Leone.
Un cimitero sarebbe più accogliente, senza enfasi, visto che ci sono i ceri
accesi. E li per terra un clochard arrivato da chissà dove che si accampa dov’è
arrivato. Stanco, si addormenta presto e non si può dire nemmeno tra
l’indifferenza generale visto che non c’è nessuno. Ma se ci fosse qualcuno cosa
direbbe? Forse nulla, proprio come nelle grandi città dove i senza tetto
muoiono di freddo a due passi da bar, aperti, e addirittura nelle stazioni che
sono un formicaio. Forse il male peggiore della società virtuale è proprio
l’indifferenza verso i fratelli meno fortunati. Di fronte il computer si chiede
l’amicizia virtuale a chi non si conosce, magari si scambiano anche post e
commenti, ma poi quando ci si guarda negli occhi della vita reale si gira lo
sguardo dall’altro lato. Chi conosce il clochard? Nessuno. Ma questo non
significa abbandonarlo al proprio triste destino.
Gabriele Elia
(fonte il Quotidiano della Basilicata)
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