I saldi imperversano su tutte le vetrine della città già da qualche settimana. Giubbotti di pelle venduti in pieno centro a 140,00 invece che 300,00; alcuni negozi di vicinato che applicano addirittura sconti smisurati del: “Fuori tutto” a prezzi ancora più competitivi dei famigerati outlet (in italiano tutt’altra cosa), la nuova Mecca degli ultimi anni non solo per chi non arriva alla terza settimana del mese ma anche da quel ceto definito “borghesia” cittadina. Però nonostante tutto la vera attrazione cittadina continua ad essere il centro, non storico, ma commerciale “Heraclea” in località “Bosco Soprano”. Durante il week end è come le api alla vista del miele: tutti si riversano nella novità degli ultimi cinque anni a Policoro e in tutta la fascia jonica che di fatto ha spopolato e sostituito le più classiche piazze dei nostri splenditi borghi (vedi Valsinni, Tursi) o della più giovane Policoro. Tralasciamo l’aspetto legato meramente alla convenienza (o non convenienza) economica dei saldi, anche al centro commerciale Heraclea, di stagione e cerchiamo di ragionare sulla nuova moda cittadina che come un morbo ha contagiato tutti i paesi limitrofi. Il richiamo della foresta è forte: il centro commerciale è la nuova piazza cittadina anche di incontro. Infatti c’è chi và solo per passeggiare e perdere qualche ora del proprio tempo libero svuotando le vie principali di ogni Comune. Non ha più senso chiamare le mega strutture “non luoghi”. Però ha un senso definirle spazi artificiali dove non si depositano memoria e identità. Sono, soprattutto per i giovani ma ormai pure per le famiglie il nuovo luogo della vita che stanno sostituendo quelli — appunto il centro storico, la piazza, il paese; ma anche la chiesa, lo stadio, il cinema — dove i nostri padri per secoli si sono conosciuti, parlati, amati, magari imbrogliati. Il centro commerciale è divenuto città nuova. È metafora della svendita, anche dei valori, del degrado dei rapporti umani, che hanno toccato il fondo con l’aridità di internet e di facebook, un tempo in cui tutto può essere comprato e venduto con la rapidità di chi considera la conversazione una perdita di tempo e la cortesia un segno di debolezza. Per alcuni non è detto però che questa profonda trasformazione sia negativa; il dato certo però è che coincide con la perdita della piazza, tratto distintivo della nostra civiltà. Ormai lamentarsi serve davvero a poco, anche se va tenuto a mente che i denari spesi nel negozietto sotto casa restano all’interno della comunità anziché finire altrove. Però un’altra lezione ce l’hanno impartita: lo sprone a rendere i nostri centri storici più “competitivi” con i centri commerciali: sicuri, facili da raggiungere, attraenti anche il tardo pomeriggio e la sera, grazie a quelle ricchezze come l’arte, la musica, il teatro, la preghiera su cui si sono forgiate le nostre città da secoli che si possono riscoprire. Per quel che concerne Policoro i segnali di vita non mancherebbero: saldi anche in altri periodi dell’anno; isola pedonale più lunga, aperta al traffico magari fino ad una certa ora; qualche mostra in più magari sotto il porticato di piazza Eraclea; piano dei colori per case e attività commerciali del centro; utilizzo delle tante piazze centrali per organizzare anche piccoli eventi culturali (Blues in Town di luglio insegna) spalmati durante i dodici mesi; un mercatino dell’antiquariato periodico come il più classico mercato del 27; istituire un premio, anche simbolico, alla vetrina più bella e illuminarle se non tutta la notte almeno fino a tarda sera. Senza l’evento e una caratterizzazione “particolare” la nuova moda continuerà ad essere sempre e solo il centro commerciale.
Gabriele Elia
(fonte il Quotidiano della Basilicata)
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