POLICORO – “Non sei di Policoro
se…”. Imperversa su internet il passaparola che sta facendo proseliti:
ritorniamo in piazza Eraclea. Nei giorni scorsi abbiamo parlato di un timido
tentativo di rianimare la piazza centrale della città con la riapertura di
un’attività commerciale; ora a perorare la stessa causa sono coloro i quali
hanno vissuto una generazione sotto il porticato e nella relativa piazza. Oggi
hanno mogli e figli, e prima di sposarsi si radunavano in piazza per
aggregarsi, conoscersi, confrontarsi. Dopo quella generazione di quarantenni,
oggi la piazza è tremendamente vuota tutto l’anno. Sono cambiate le abitudini
dei nuovi policoresi: prima non c’erano i social network mentre oggi si trascorre
buona parte della giornata sul villaggio globale della rete. Però c’è chi non
si vuole rassegnare a vedere una città che sta morendo giorno dopo giorno in
cui non ci sono più spazi sociali. Così domenica 9 una cinquantina di persone,
tra cui Mimmo Simone, Ermanno Affuso, e tanti altri si sono dati appuntamento
in piazza Eraclea per vincere la solitudine, l’anonimato, per rivedersi e
soprattutto per dare un segnale che invertire la rotta si può. Basta volerlo:
“Oggi paradossalmente –spiegano gli ideatori dell’iniziativa- si è compagni o
amici anonimi. Il clik diventiamo amici non corrisponde poi al saluto quando ci
si vede per strada. Tutti possono dire di tutto senza mostrare la faccia,
nascondendosi dietro a uno pseudonimo senza il coraggio di andare in piazza a
scambiarsi opinioni. C’è la complicità di un certo modo di vivere la rete che
non trova riscontro nella realtà. Tanti dichiarano di utilizzare il Pc per fare
nuove amicizie e alla fine possiedono più amicizie nel web che nella vita reale
cosa che non accedeva un decennio fa. Allora c’era il passeggio, le comitive,
il pub Time out dove potersi sedere e di fronte ad un aperitivo nascevano anche
nuovi amori; oggi tutto è cambiato. Cerchiamo di ripartire, anche dallo stesso
Time Out, per vivere non di anacronismi pensando anche ai nostri ragazzi che
non debbano stare solo in rete e abituarli a riflettere su ciò che sta
succedendo, perché se si verificano certi comportamenti un motivo c’è e vale la
pena provare a scoprirlo. I social network possono offrire ad alcuni
l’illusione di non essere mai soli, e permettono di non passare per quel buon
compromesso, quelle obbligazioni e quelle mediazioni che una relazione reale
inevitabilmente chiede. In Facebook è tutto immediato e in certa misura più
facile: posso prendere e mollare un altro con un click, senza dover dare
spiegazioni né ragioni, in modo istantaneo. In quel non luogo che è la rete ci
si può anche circondare di soggetti che la pensano esattamente come noi,
evitando ogni confronto - spesso costruttivo - con chi la vede diversamente. Si
elimina così il contraddittorio, il dibattito, resta solo il consenso. Pur di
collezionare il maggior numero possibile di "mi piace" da parte dei
propri contatti alcuni diventano disposti a tutto, persino a postare foto e
video che non vorrebbero mai veder pubblicate sulla prima pagina di un
quotidiano, ma in rete sì, perché in rete si diventa più disinibiti, la
mancanza di prossimità fisica risparmia l’impatto diretto con l’altro e il suo
giudizio. Assistiamo pertanto a un grande paradosso: siamo sempre più connessi
per sentirci meno soli e contemporaneamente diventiamo sempre più soli. Per
alcuni si genera tale circolo vizioso in cui il virtuale presso cui ci si
rifugia per scampare alla solitudine diventa il fattore stesso che la promuove.
Una volta fatto fuori l’altro reale della relazione, con le sue caratteristiche
e i suoi connotati ben precisi, ci si accontenta anche di un altro qualunque,
che persino nel pieno anonimato assume una potenza incredibile. Ma noi siamo
fatti così: non possiamo fare a meno di un altro, non possiamo prescindere
dall’altro. Con questo movimento cerchiamo di offrire qualcosa di diverso:
tocca a noi proporre e offrire prospettive e mete interessanti, luoghi reali
dove poter fare esperienza del vantaggio della presenza di un altro con cui
trafficare, magari anche litigare, dentro un rapporto che coinvolga tutto il
corpo, fatto di sensazioni, movimenti e pensieri. Una volta presente un reale
interessante e coinvolgente, il virtuale si metterà senza obiezioni al suo
servizio, si sottometterà cosicché non dovremo temere più nulla. Le
potenzialità verranno volte alla costruzione, non alla distruzione, e i
rapporti, concreti e sensibili, ne potranno beneficiare per il meglio”.
Gabriele Elia
(fonte il Quotidiano della
Basilicata)
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