mercoledì 10 novembre 2010
Maltempo a Policoro. “Come l’alluvione del 1959”
POLICORO – In città non si ha la percezione dei danni causati dall’alluvione del 2 novembre che si è abbattuto in tutta la regione e nella fascia jonica. Però nella periferia di Policoro è una vera e propria catastrofe. In via Amerigo Vespucci, contrada Madonnella, Canio Gugliemi ha 7,5 ettari di coltura intensiva: “Non ricordo un’emergenza del genere dall’alluvione del 1959 –ci dice dalla sua azienda agricola-. L’acqua del fiume Agri è arrivata fino alla mia palazzina superandola addirittura. E infatti l’aranceto (vedi foto) a distanza di tre giorni dalla calamità naturale è una ancora una palude”. Ci sono alcune donne che lavorano solo tra i filari delle fragole, ma il resto è tutto distrutto: “abito –continua- a 1,5 chilometri dal letto del fiume, ma la forza dell’acqua ha distrutto non solo quasi tutto il raccolto ma anche gli impianti per i trattamenti e l’irrigazione”. Con lui un altro agricoltore: “Mi trovavo a 700 metri dal fiume Agri quel giorno, ho fatto in tempo a scappare se non ci avrei lasciato le penne”. Poi arriva Vito Carbone, tecnico agrario: “Sia il frutto pendente che tutto il resto: fave, melanzane, ortaggi vari, sono andati persi e non si può più recuperare nulla…ora chi risarcisce questi imprenditori”, si chiede allibito sapendo anche la risposta: la mano umana. Qualche ora di pioggia nel 2010 non può lasciare sul lastrico intere famiglie alle prese già con mille problemi del settore. E allora anni di sacrifici e investimenti andati in fumo in poco tempo. E infatti a pochi chilometri di distanza Vincenzo Padula, da poco neo responsabile della Coldiretti di Policoro, ci fa vedere i danni causati dalla furia della natura anche alle spalle del castello: impianti (vedi foto) scaraventati per terra, tubi di grosse dimensioni caduti come ramoscelli di ulivo e addirittura in un podere c’è una fossa (vedi foto) simile ad un cratere. Stesso triste spettacolo con la mano dell’uomo sempre al primo posto della causa. Ed infatti è più esplicito: “Il genio civile di Potenza –secondo me- ha delle responsabilità perché il disastro di questi giorni c’è già stato in passato, anche se di dimensioni ridotte, nel 2008, ma con il medesimo risultato. Il fiume non viene pulito e si porta dietro tanti di quei detriti da farlo innalzare addirittura oltre il livello dei canali di bonifica. E quando è esondato con quella massa mista di acqua e detriti immaginate un po’ con che potenza si è abbattuta sulle nostre colture. Nel 2000 come associazione di categoria, sulla scorta di una legge nazionale, avevamo proposto tramite i contratti territoriali di occuparci noi direttamente della manutenzione del territorio senza dare deleghe in bianco a nessuno. Però le istituzioni territoriali e locali non ci hanno dato nessuna risposta. Ecco che ora stiamo a piangerci addosso tutti e nella nostra categoria c’è gente che non può nemmeno mangiare…chi restituisce loro il maltolto?”. Domanda alla quale il coro unanime di addetti lavori risponde: “uno stanziamento di fondi è il minimo –conclude il rappresentante di categoria Padula- che si possa fare. In Veneto sono stati rapidi nel quantificare in oltre 100 milioni di euro i danni. Lo stato di calamità naturale è un pannicello caldo. Ci vogliono i fondi. E subito”.
Gabriele Elia
(fonte il Quotidiano della Basilicata)
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Che nottata quella notte viene alla luce Fiorella la mia NONNA diceva ci penso io mi trovo in un angolo al buo con la luce del camino vedo che a le mani. Nei capelli e non ricordo più niente al mio risveglio avevo una bambina meravigliosa
RispondiEliminaChe nottata quella notte viene alla luce Fiorella la mia NONNA diceva ci penso io mi trovo in un angolo al buo con la luce del camino vedo che a le mani. Nei capelli e non ricordo più niente al mio risveglio avevo una bambina meravigliosa
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