Una condanna a 21 anni di
prigione può essere la pietra tombale per qualcuno ma il trampolino di lancio
per qualcun altro. E’ il timore degli investigatori della Dia che a proposito
del metapontino tratteggiano una scena in rapida evoluzione dove il racket
esiste e prende di mira diverse attività commerciali e il crimine organizzato potrebbe
approfittare della crisi economica per lanciarsi anche nel lucroso affare del
credito a strozzo. «Nell’area jonica del distretto di Matera sono proseguite le
azioni intimidatorie ai danni di imprese agricole, a conferma dell’interesse
della criminalità organizzata nei riguardi di tale comparto, e in particolare del
settore della distribuzione dei prodotti». Quanto ai presunti responsabili le
idee sembrano chiare. «Il ricorso al prelievo estorsivo col metodo mafioso -
sostiene l’ultima relazione della Dia per il secondo semestre del 2011 - è
ascrivibile tanto a cellule criminali autoctone, quanto a singoli esponenti dei
clan Scarcia e Mitidieri-Lopatriello, peraltro abituali anche in reati in materia
di stupefacenti e traffico di armi». Individuati i soggetti sui quali si
concentra l’attenzione degli inquirenti viene il luce anche il sommovimento causato
negli ultimi anni dall’azione di repressione delle forze dell’ordine. Una
dovuta menzione va così alla decisione della Corte d’appello di Potenza che il
12 luglio 2011 ha
condannato otto elementi del
gruppo Scarcia, tra cui il capo clan Salvatore Scarcia, a pene comprese tra 21
anni e tre anni e 15 giorni, per un totale di 67 anni, sei mesi e 15 giorni di
reclusione. «Non è dato escludere - concludono gli autori della relazione al
Parlamento – che tale pesante condanna possa favorire l’affermazione sul
territorio di gruppi antagonisti, sia aggregatisi intorno a soggetti emergenti
che preesistenti da tempo, dando vita a dinamiche di scontro». In sostanza gli
eterni secondi del clan Mitidieri-Lopatriello potrebbero rivalersi delle pene
inflitte agli Scarcia per avanzare pretese sulla loro eredità criminale:
estorsioni, ma non solo. Il processo “Revival” risale infatti al 19 gennaio
2006 quando in 32 vennero arrestati, con accuse a vario titolo di associazione a
delinquere di stampo mafioso e spaccio di droga sulla fascia jonica tra
Basilicata e Puglia. L’operazione era
cominciata nell’ottobre 2002
avrebbe portato al sequestro di armi, esplosivi, assegni, denaro contante e
cocaina. Il nome derivava dal fatto che si trattava
degli stessi personaggi già
coinvolti in precedenti operazioni sul territorio (come “Siris” e
“Basilischi”), che avrebbero voluto «ribadire» proprio la loro
egemonia delinquenziale nel Metapontino
anche in forza di un solido legame con il clan Parisi di Bari, individuato come
il centro operativo per l’approvvigionamento continuo di varie partite di
cocaina da destinare al mercato lucano. Fallito il “revival”, qualcuno potrebbe
quindi credere che sia finalmente arrivato il suo momento. Dunque estorsioni da
una parte e traffico di droga dall’altra. Ma la Dia guarda anche oltre e coglie
anche il possibile riutilizzo dei proventi delle prime due attività, ossia lo
strozzinaggio. «La coerente congiuntura economica, in un territorio peraltro
gravemente colpito
dagli eventi alluvionali
verificatisi nel marzo 2011 (solo la scorsa settimana è stato stanziato 1
milione di euro dalla Regione ma la stima dei danni è molto superiore, ndr) ha
elevato il grado di vulnerabilità finanziaria di individui e imprese offrendo alla
criminalità occasioni di profitto derivanti dall’esercizio abusivo del credito
e dall’attività usuraria». La Basilicata certo non è indenne al fenomeno come
dimostrano le operazioni messe a segno l’anno scorso a Lagonegro e a Potenza.
Ed è proprio l’assenza di denunce sul lato materano a destare particolare preoccupazione.
Fonte
Il Quotidiano della
Basilicata
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