Tre a
zero per le trivelle. Il Tar del Lazio ha bocciato con tre sentenze tutti i tre
ricorsi contro la ricerca di giacimenti nel mar Ionio. Manca l’ultimo passo, il
timbro finale dello Sviluppo economico, e la piccola società petrolifera Enel
Longanesi — società che l'Enel ha appena venduto alla compagnia statunitense
AleAnna — potrà condurre ricerche strumentali per scoprire se sotto il fondale
del mar Ionio ci sono giacimenti di petrolio o di metano. Dopo alcune settimane di studi, se individuerà giacimenti
dovrà avviare una nuova procedura di autorizzazione e una nuova procedura
ambientale per vedere con lo scavo di un pozzo esplorativo se il giacimento
ecografato esiste davvero. E se anche il pozzo esplorativo confermerà la
presenza di risorse, terzo giro di autorizzazioni e valutazioni ambientali.
Sotto i fondali compresi fra Calabria, Basilicata e
Puglia gli esperti prospettano riserve rilevanti. Dal punto di vista della
geologia, le condizioni sono perfette per scoprire rocce impregnate di
idrocarburi come il greggio e il gas. Diverse società avevano presentato
richieste per poter ispezionare il sottosuolo con una specie di ecografia
colpendo il fondale con bolle di aria compressa per ascoltarne l’eco profondo
(è la tecnologia dell’air gun). Il progetto più interessante era quello della
Shell. Però i limiti imposti mesi fa dal Governo contro lo sfruttamento di
nuovi giacimenti vicini alla costa aveva costretto diverse compagnie alla fuga
dall’Italia, Shell compresa. Ma le aree per 750 chilometri quadri chieste dalla
Longanesi-AleAnna sono in alto mare, oltre le 12 miglia dalla costa (circa 22
chilometri), e quindi sfuggono ai vincoli. Nella primavera 2013 l’Enel
Longanesi aveva chiesto al ministero dell’Ambiente la valutazione d’impatto
ambientale (Via) per poter fare l’ecografia alle rocce. Nel dicembre 2013 la
commissione di valutazione di impatto ambientale del ministero aveva detto di
sì, a patto che la compagnia si attenesse ad alcune prescrizioni affinché
l’ecografia non creasse alcun danno all’ambiente. Le Regioni Calabria e Puglia
avevano espresso parere contrario. Nel giugno 2015 il ministero dell’Ambiente
aveva concesso con un decreto il via libera ambientale finale. E le Regioni
subito erano corse a lamentarsi al Tar Lazio per far annullare il decreto
finale dell’Ambiente e tutti gli atti che l’avevano preceduto. Il Tar del Lazio
risponde in modo abbastanza sobrio al ricorso della Calabria. Più articolata la
sentenza di bocciatura contro la Puglia: per esempio nel contestare
l’inquinamento di altri Paesi vicini la Regione «fa riferimento al Mare
Adriatico — osserva il Tar nella sentenza — quando il progetto in questione è
collocato invece nel Mar Ionio». Terrificanti i commenti del Tar nella sentenza
sulla Basilicata. Qualche esempio. La Regione contesta il fatto che il via
libera ambientale è stato dato «senza tener conto della ferma opposizione
manifestata dalle Regioni interessate». Storie. Il ministero dell’Ambiente ha
collezionato quasi un centinaio di commenti, contestazioni, osservazioni e
suggerimenti da Province, Comuni, associazioni, parrocchie, circoli, giornali,
sindacati, associazioni, blog e singoli cittadini, tutti si erano espressi
tranne l’unico ente cui era stato espressamente chiesto di esprimersi con
lettere e solleciti: la Regione. La «ferma opposizione» della Regione era stata
il silenzio totale. Oppure, la Basilicata protesta che è stato violato il Piano
delle Coste: ma la Regione non ha mai varato, adottato, approvato questo
inesistente Piano delle Coste. Ancora, la Regione paventa «fuoriuscite di gas
e/o a fenomeni di blow-out di gas durante la perforazione», dimenticando che il
progetto di ecografia del sottosuolo non prevede di piantare non una
perforatrice ma nemmeno una cannuccia di chinotto.
Fonte
Il Sole 24 ore
Nessun commento:
Posta un commento