POLICORO – Il nostro viaggio nell’estate
policorese continua con l’arredo urbano. O meglio quello che rimane. Nei mesi
invernali il lungomare si trasforma in una sorta di bronx: cestini della
raccolta dei rifiuti divelti, sfere di protezione delle lampadine dei lampioni
usati come tiro a segno, in qualche caso anche le panchine di cemento vengono
distrutte. Sullo sfondo poi l’incuria regna sovrana con sacchetti della
spazzatura gettati a destra e a manca della pineta e anche sulla Duna lo
spettacolo non è dei più civili, per non parlare poi del fenomeno del
randagismo che nella zona Lido è una vera e propria emergenza. Poi in
prossimità di giugno iniziano i lavori di “riqualificazione” da parte
dell’Amministrazione comunale. Purtroppo però spesso non sono sufficienti per
colpa dei soliti cittadini inurbani, che non è detto siano per forza locali. Il
simbolo di un degrado che non conosce limiti sono i bagni pubblici e le docce
nella spiaggia libera. Dopo essersi tuffati nello Jonio e preso la tintarella è
fisiologico andare in bagno per una doccia e poi rincasare. Mettere piede in
uno dei bagni attrezzati è come entrare in una porcilaia con il rischio di
prendersi qualche infezione. La donna delle pulizie, molto diligente ed efficiente,
di questi periodi impazzisce nel pulire e ripulire, vanamente però. C’è stato addirittura
chi nello spazio più privato del bagno è entrato “sporco” ed uscito ancora più
“sporco” di prima. Si urina fuori dell’orinatoio, si lascia il rubinetto dell’acqua
aperto, tanto paga il contribuente, e quando entra qualcuno con la luna storta,
o meglio troppo assolato, o rompe la manopola dell’acqua o si porta a casa addirittura
il rubinetto. Stesso discorso vale per il piatto doccia scambiato spesso per
water. Le spese per questo servizio si quantificano a fine stagione però forse
sarebbe il caso di privatizzarlo. In città ad esempio i bagni pubblici sono
quasi del tutto spariti. Si paga 0,50 per usufruire del bagno e quando si entra
sembra di stare a casa propria, mentre quando si esce c’è subito chi pulisce:
insomma ci si specchia. In questo modo si dà la possibilità anche ad una
cooperativa di giovani locali di lavorare e guadagnare e nello stesso tempo
dare l’immagine di una città turistica moderna dove la qualità non è gratuita.
Un esperimento di questo genere venne utilizzato quando si insediò la Giunta di
Antonio Di Sanza (1997/2001): con sole 1000 lire si poteva parcheggiare l’auto
negli appositi stalli con i parcheggiatori che vigilavano ed escutevano il debito.
C’era più ordine. D’altronde in tutte le città turistiche per usufruire di
qualche servizio bisogna pagare. E in alcune di esse c’è il salasso. Un minimo
di contributo sarebbe la soluzione più equilibrata. Per il resto alcune
storture si registrano all’incrocio a quattro di via Trieste dove il semaforo
funziona a corrente alternata fino a quando non ci scappa un brutto incidente;
mentre la sera, almeno fino a qualche settimana fa, il lato destro del
lungomare era completamente al buio. I vandali non si nascondono solo nei bagni
chiusi, ma si fanno riconoscere anche nelle fontanine del lungomare.
Gabriele Elia
(fonte il Quotidiano della
Basilicata)
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