Più
barili, meno debito pubblico? Va a finire che, per compensare le mancate
privatizzazioni, in Italia si cercherà l’oro nero. I nuovi petrolieri, anche
italiani, sono pronti. Se la produzione d’idrocarburi raddoppiasse, com’è da
richiesta del premier Matteo Renzi con il decreto sblocca Italia al varo (tempi
più lunghi di quanto previsto dai petrolieri) e come auspica da tempo la
confindustriale Assomineraria, nelle casse di Stato, Regioni e Comuni finirebbe
un miliardo e mezzo in più all’anno solo da royalty e tasse. Come dire un terzo
della rinviata quotazione delle Poste.
Una quarantina di progetti
«Ci sono una quarantina di progetti in attesa d’approvazione con risorse
già individuate, si tratta di farli partire», dice Pietro Cavanna, presidente
del settore Idrocarburi di Assomineraria. Fermi da anni, sono spesso in attesa
della Via, la valutazione d’impatto ambientale finora concessa (o no) dalle
Regioni. Sono 111 le istanze di permessi per cercare petrolio e gas sul sito
Mise: 72 «in corso di valutazione ambientale». I 40 progetti pronti valgono 15
miliardi d’investimenti in quattro-sei anni, secondo il ministero dello
Sviluppo. Li hanno proposti decine di petrolieri. Italiani e stranieri, rodati
ed emergenti. Ai giganti Eni (che fa l’80% della produzione) e Shell, Total,
Edison, Enel, si aggiungono volti meno noti al pubblico.
Si chiamano Stefano Cao (Exploenergy, Italia) e Davide Usberti (Gas Plus, Italia), Peter Shiner (Petroceltic, Irlanda) e Luca Madeddu (Appenine Energy, Gran Bretagna), Michael Masterman (Po Valley, Australia) e Sergio Morandi (Medoilgas, Gran Bretagna). Ma sono in pista da poco anche i giapponesi della Mitsui, partner di Shell e Total nel progetto Tempa Rossa (Puglia-Basilicata). Innesto significativo dopo l’uscita dall’Italia, anni fa, della Exxon. Fra i potenziali investitori, fonti segnalano poi megafondi di private equity come Warburg Pincus, Cvc, Riverstone, Kkr.
Si chiamano Stefano Cao (Exploenergy, Italia) e Davide Usberti (Gas Plus, Italia), Peter Shiner (Petroceltic, Irlanda) e Luca Madeddu (Appenine Energy, Gran Bretagna), Michael Masterman (Po Valley, Australia) e Sergio Morandi (Medoilgas, Gran Bretagna). Ma sono in pista da poco anche i giapponesi della Mitsui, partner di Shell e Total nel progetto Tempa Rossa (Puglia-Basilicata). Innesto significativo dopo l’uscita dall’Italia, anni fa, della Exxon. Fra i potenziali investitori, fonti segnalano poi megafondi di private equity come Warburg Pincus, Cvc, Riverstone, Kkr.
Italia nuovo
Texas?
Tutti pronti a balzare sul treno dell’oro nero italiano: se partirà,
come promette lo sblocca Italia. All’articolo 71, il decreto rivoluzionerebbe
il mercato in tre punti:
a) rilascio di un «titolo concessorio unico», cioè un solo permesso per esplorare ed estrarre
b) autorizzazione mineraria concessa dallo Stato e non più dalle Regioni
c) attribuzione della seguente patente alla ricerca e coltivazione d’idrocarburi: «Attività di pubblica utilità, urgenti e indifferibili».
a) rilascio di un «titolo concessorio unico», cioè un solo permesso per esplorare ed estrarre
b) autorizzazione mineraria concessa dallo Stato e non più dalle Regioni
c) attribuzione della seguente patente alla ricerca e coltivazione d’idrocarburi: «Attività di pubblica utilità, urgenti e indifferibili».
Perché i giacimenti di petrolio, in Italia, ci sono: in Basilicata, val
d’Agri, c’è il più grande d’Europa su terra. E anche in Adriatico, Abruzzo,
Piemonte, Veneto, Lombardia. Ma «l’attività di esplorazione è ferma da un
decennio», diceva già nel 2012 un libro bianco di Assomineraria. Eppure «il
petrolio è lì, sottoterra, che aspetta di sgorgare dal terreno», dice Cavanna.
Royalty
Nel 2013 i petrolieri d’Italia hanno versato royalty per 398 milioni e
imposte per circa 1.250. Totale: 1,648 miliardi. Con il raddoppio della
produzione il contributo crescerebbe in proporzione. Era del resto questo
l’obiettivo della Sen, la Strategia energetica nazionale varata dal governo
Monti e approvata lo scorso anno dall’esecutivo Letta. «Il decreto è una buona
cosa, i benefici sarebbero notevoli anche sul piano dell’occupazione, avremmo
una riduzione della bolletta energetica di 5 miliardi e mezzo», dice Cavanna.
Oggi la produzione italiana di petrolio e gas è di 11,8 tonnellate equivalenti
e copre il 10% del fabbisogno nazionale. S’importa energia da idrocarburi per
60 miliardi, il 90% della spesa energetica italiana. Calerebbe a 54. «Per
giacimenti piccoli come quelli in Pianura Padana o negli Appennini, tra
esplorazione e perforazione, all’estero ci vogliono due anni per i permessi»,
dice Davide Tabarelli, presidente Nomisma Energia. «Da noi cinque».
Il plauso
irlandese
«Il governo italiano mira al raddoppio della produzione d’idrocarburi
entro il 2020», scrive Petroceltic sul sito in inglese. «Allineerà le regole
agli standard europei e ridurrà i tempi di autorizzazione. Vede un potenziale
di occupazione, crescita, sicurezza energetica e vuole incoraggiare gli
investimenti. Petroceltic apprezza e svilupperà il portfolio italiano». La
Petroceltic è guidata dall’amministratore delegato Brian O’Cathain (Shiner è
country manager per l’Italia). Attende l’ok per esplorare in Abruzzo. È
quotata all’Aim di Londra, il listino delle piccole imprese: come la Sound Oil,
che controlla Apennine Energy; e la Mediterranean Oil che possiede Medoil.
Gli italiani
Stefano Cao, consigliere di A2A, viene dall’Eni ed è stato
amministratore delegato di Sintonia (Benetton). Si muove sulle aree del Nord ex
Agip, dove il petrolio si sa che c’è. Ha fondato Exploenergy nel 2012. La sua
idea è sfruttare con una società leggera le risorse. «Dopo due anni e mezzo
aspettiamo ancora i permessi operativi per iniziare», dice. «Procedure lente e
faticose». Ha fatto tre richieste per esplorare in Lombardia ed Emilia-Romagna:
a Castiglione di Cervia, l’anno scorso («In corso di rigetto», scrive il Mise;
«Aspettiamo la rivalutazione dopo i chiarimenti forniti», replica Cao); a
Lograto (Brescia) e Reno Centese (Ferrara) nel 2012. «Con lo sblocca Italia
potremmo entrare in produzione nel 2017», dice. Cerca partner nei fondi, che
paiono interessati. Davide Usberti, amministratore unico della quotata italiana
Gas Plus ed ex candidato all’ingresso in Ansaldo Energia con il Fondo
strategico italiano, è specializzato in giacimenti di media e piccola taglia.
Ha progetti per tre impianti di stoccaggio gas da 200 milioni d’investimento
complessivo nelle Marche, in Abruzzo e Molise. «Aspettiamo le autorizzazioni
dal 2008», dice. «In questi sei anni, in Romania siamo già arrivati ai
cantieri». Vuole proseguire a estrarre intorno a Mirandola, dopo il terremoto
in Emilia e il sostanziale via libera governativo («Non vi sono ragioni fisiche
per ritenere che le attività abbiano innescato la sequenza sismica del 2012»,
ha scritto il 21 luglio il ministero dello Sviluppo, dopo l’ok dell’Istituto di
geofisica). Ma senza l’elezione del nuovo presidente di Regione, dopo le
dimissioni di Vasco Errani, è tutto fermo. Apennine Energy invece si appresta a
perforare quest’anno in Lombardia (Badile) e ha appena avuto l’approvazione per
il pozzo di San Lorenzo, nelle Marche (gas). Uno dei 40 progetti pronti a
partire sarebbe suo.
Ricorso delle
Regioni
Ora, è possibile che le Regioni facciano ricorso in Corte
costituzionale contro lo Sblocca Italia, perché il rilascio dei permessi
minerari centralizzato tocca il Titolo V (il governo lo ritiene infondato,
perché serve comunque un’intesa Stato-Regioni). E Legambiente parla di
«scellerata politica energetica di Renzi». Ma Tabarelli preferisce citare Luigi
Einaudi: «Nel libro La rendita finanziaria diceva che lo Stato ha il
dovere si sfruttare le risorse energetiche del Paese. Era il Novecento.
Figurarsi ora con tutti questi debiti».
Fonte
Corriere
della Sera
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