venerdì 26 ottobre 2012

La Questione meridionale? Un luogo comune creato dagli stessi meridionali. La provocazione nel libro: “La collera”



POLICORO – Di questi periodi imbattersi in persone colleriche è all’ordine del giorno: ce chi ha perso il lavoro, chi non ce l’ha, chi è precario, chi ha subito un’ingiustizia, chi un furto e l’elenco potrebbe continuare. Il periodo non è dei migliori in tutti i sensi. Però nei meridionali questo sentimento di collera è antropologico, insito nel Dna. E ha spiegarlo domenica sera 21 ottobre nella biblioteca comunale di Policoro “Massimo Rinaldi” ci ha pensato lo scrittore Andrea Di Consoli, autore del libro: “La collera”. Di Consoli, nato a Rotonda (Pz) e vissuto in Svizzera per alcuni anni, impersona in Pasquale Benassia il classico meridionale piagnone che non sa fare altro che lamentarsi, non apprezzando ciò che di positivo circonda il Sud, in questo caso la Calabria, da dove Benassia parte alla volta di Torino. Di Consoli sostiene che lo status di meridionalista-pessimista sia dovuto all’irrazionalismo, agnosticismo di cui è impregnato il meridione che ha rifiutato il pragmatismo illuminista del 1700 per continuare a sposare la causa borbonica, quasi mistica, del tanto peggio tanto meglio. A rifiutare ogni forma di perfezione per andare alla ricerca sempre dell’errore, della negatività quasi come se fosse una consolazione del suo status di “maledetto” e predestinato per essere nato in una porzione d’Italia da sempre vista come la palla al piede della Penisola, che si è inventata lo stereotipo della Questione meridionale, la cui bibliografia è lunga e sterminata, per giustificare ogni comportamento umano quotidiano, anche quando è contra legem. Già perché, sempre secondo Di Consoli, il meridionale ha un rifiuto a priori dello Stato visto come entità collettiva di bene comune e di progresso per tutti. Anche se di questi periodi parlare di Stato, nella sua accezione del termine, è quasi una bestemmia, a parere dell’autore del romanzo il meridionale è sempre colui che pensa di essere lo Stato, di sostituirlo in tutto e per tutto, che auto legifera, il capopolo di una serie di istanze e interessi di un gruppo di persone. E deve essere lui stesso ad avere l’ultima parola, a decidere per sé e gli altri. Da qui nasce il titolo: “La collera”, dall’incapacità di autodeterminarsi. La serata è stata introdotta dal direttore de “Il Quotidiano della Basilicata”, Paride Leporace, il quale ha affermato che non mancano spunti di riflessioni e provocazioni nella trama del romanzo di Di Consoli, che pur nella sua complessità si legge tutto di un fiato come i testi di qualità, mettendo a nudo la dicotomia Nord-Sud rivisitando la Questione meridionale paragonandola alla stregua non di un problema nazionale o addirittura europeo, bensì solo di un luogo comune. Tra i relatori anche il consigliere regionale Mario Venezia (Pdl), che ha focalizzato il suo intervento sulla necessità che “La collera” sia un libro che debba girare in molti, se non tutti, Comuni della Basilicata per smuovere le coscienze dei lucani: cambiare si può. Iniziando così un processo di sviluppo culturale prima ed economico poi auto propulsivo che parta dal basso e non dalla classe politica regionale affaccendata più nella gestione della res pubblica quotidiana e dal corto respiro che non a valorizzare il patrimonio umano, naturale e culturale di questa terra rendendola libera e non dipendente dal rais di turno. Un contributo prezioso alla discussione è stato portato anche dal giovane studioso di storia, Giorgio Santoriello, a cui si sono aggiunti gli interventi del pubblico nella persona di Iwa Comporato e Carmela Suriano. Massimo Scarcia, assessore comunale alla Cultura, ha portato i saluti dell’Amministrazione comunale spiegando che la collera è un sentimento che deve sfociare non nella violenza, bensì nella proposta e risposta ai tanti problemi che attanagliano il Sud.

Gabriele Elia
(fonte il Quotidiano della Basilicata)

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