martedì 13 gennaio 2015

No Triv sui rischi di perforazione nel Golfo di Taranto


POLICORO – I volontari del movimento No triv. Mediterraneo nella serata di giovedì 8 gennaio hanno incontrato la stampa presso l’hotel Hermes del centro jonico. Negli interventi di due dei fondatori del movimento ambientalista che si batte contro l’ipotesi che le compagnie petrolifere possano perforare il sottosuolo marino, l’avv. Giovanna Bellizzi e Felice Santarcangelo hanno illustrato ai presenti il rischio che incombe sul Mar Jonio dopo la richiesta di permessi di ricerca di cinque compagnie petrolifere nel Golfo di Taranto. Secondo la prima nei fondali c’è il rischio concreto che in passato siano affondate le cosiddette “navi dei veleni” e pertanto se dovessero avere le autorizzazioni ambientali tra veleni sparsi nel mare adiacente la fascia Metapontina e le perforazioni pre-estrazioni petrolifere sarebbe una catastrofe ambientale con conseguenze, a suo dire, inimmaginabili per pesca e turismo di tutto il circondario che va’ dalla città dei Due Mari fino alla Calabria jonica passando ovviamente per i  37 chilometri di costa lucana. La Bellizzi ha sottolineato come sono state interessate diverse procure della Repubblica e anche lo stesso ministero dell’Ambiente dei pericoli che correrebbero diversi chilometri di coste italiane qualora da Roma dovesse arrivare l’ok per le ricerche di idrocarburi. Quella delle navi dei veleni, sempre a parere della legale, non è una tesi campata in aria in quanto in passato anche il magistrato Pace, esperto di reati ambientali, avrebbe adombrato che nelle acque della vicina Taranto ci siano relitti di navi che contenevano rifiuti di vario genere. Felice Santarcangelo ha parlato invece di “punto bianco”, ovvero una verifica dell’impatto ambientale pre e post trivellazioni che andrebbe fatto e i cui risultati servirebbero a capire l’impatto sulla flora, fauna acquatica e habitat marino circostante. Secondo lo stesso ambientalista per le caratteristiche del Golfo di Taranto, chiuso dal “tacco” pugliese e “suola” calabrese le acque sono circolari, come se fossero riciclate, e pertanto il solo sversamento anche di poco petrolio porterebbe un inquinamento del mare circostante permanente. Infine ha aggiunto che le compagnie petrolifere che hanno presentato istanza di ricerca adotterebbero preventivamente la tecnica dell’air gum, ossia potenti colpi di aria compressa che tramortiscono la fauna acquatica. Tra le varie relazioni tecniche portate all’attenzione della cittadinanza c’è stata anche quella secondo cui ora le perforazioni non sono più verticali, ma dopo essere penetrate nel sottosuolo si allargherebbero anche orizzontalmente con possibilità di inquinamento a macchia d’olio.

Gabriele Elia
(fonte il Quotidiano del Sud)

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