giovedì 23 dicembre 2010

OMICIDIO MARIO MILIONE.

"Spero che mio figlio fosse già morto quando hanno dato fuoco all'auto, almeno così non avrà patito le pene dell'inferno"

Policoro - “Voglio giustizia per Mario. Voglio conoscere i suoi carnefici. Voglio che la magistratura non tralasci nulla solo perchè, si è detto e scritto, era un tossicodipendente. Non è così”. Ha le lacrime agli occhi Salvatore Milione, pensionato, padre di Mario, il giovane di Policoro trovato nel bagagliaio di una Lancia Dedra bruciata tra il 16 ed il 19 ottobre del 2004 nelle campagne di Ginosa (TA). Il suo corpo era distrutto dalle fiamme. Solo la prova del Dna riuscì a dare una identità a quei poveri resti. Dal giorno del ritrovamento ad oggi, però, nulla è stato scoperto su mandanti ed assassini. Mario aveva 37 anni e due figli, allora minori. Forze dell’ordine e magistratura non sono riusciti neanche a dare la data precisa della sua morte. Sulla sua lapide c’è solo la data di nascita. Le parole del padre, che per la prima volta ha accettato di parlare con la stampa, fanno rabbrividire: “Mio figlio non era un tossicodipendente. Lavorava onestamente e portava il pane ai figli a casa. Come tanti ragazzi aveva le sue debolezze ma non era un tossico. Era un bravo panettiere e pizzaiolo. Ha commesso come tutti i giovani qualche leggerezza ma niente di più. Quando morì lavorava in un locale di Policoro da cui si sono perse le sue tracce”. Salvatore ha molti dubbi sull’assassinio del figlio: “Perché doveva prestarsi l’auto di un amico (la Lancia Dedra, ndr) se aveva la sua, trovata davanti a quel locale? Gli investigatori non hanno indagato a fondo. Io l’ho sentito il giorno che è morto. C’era una persona che sapeva dove Mario doveva andare. Non so se questa persona è stata sentita”. Il nostro interlocutore nutre sospetti su alcune persone. Persone di cui è disponibile a fare i nomi a carabinieri e magistrati. Senza paura. Dopo 6 anni il suo dolore è diventato straziante: “Dopo alcuni giorni andai sul luogo dove fu trovata la Dedra. C’erano un pezzo di mascella, uno di scapola, altri ossicini. Gli investigatori nemmeno avevano provveduto a raccogliere tutti i resti di Mario. Li raccolsi e li portai alla caserma di Ginosa. Dopo qualche giorno li portarono a Policoro, facemmo un buco nella lapide e li mettemmo con gli altri resti. Come sono state condotte le indagini?” Una domanda retorica. “La magistratura deve riaprire l’inchiesta per individuare i responsabili di un delitto bestiale. Non si possono definire che bestie quanti hanno commesso questo crimine. Spero tanto che mio figlio fosse già morto quando hanno dato fuoco all’auto. Così, almeno – ha concluso, piangendo, Salvatore - non avrà sofferto le pene dell’inferno”.



Giustizia per Mario Milione


POLICORO – Giustizia per Mario Milione. L’appello del padre non deve passare in silenzio. Le istituzioni, lo Stato, l’opinione pubblica, debbono sentire il bisogno di assicurare alla giustizia chi ha commesso un delitto dalle modalità mafiose. I carabinieri di Castellaneta, che condussero le prime indagini, e la magistratura di Taranto, competente per territorio, debbono ascoltare Salvatore Milione, che ha tanti e importanti sospetti. Ed è disponibile a rivelarli ad investigatori ed inquirenti. Non l’aveva mai fatto sinora ma sei anni hanno maturato situazioni che egli ritiene importanti da portare a conoscenza di chi ha la responsabilità di indagare. Un delitto impunito è una macchia per una intera società. In questo particolare caso, poi, è una macchia che sporca due territori confinanti, quello della provincia di Taranto e quello del Metapontino. All’epoca indagarono anche i carabinieri di Policoro, la città dove risiedeva la vittima. E’ il tempo che si faccia il punto sulle indagini sin qui condotte e che si definisca una linea di azione. Giustizia per Mario Milione.

Fonte
La Gazzetta della Basilicata
Filippo Mele

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